«È il 1975, una donna scompare, i suoi documenti vengono ritrovati sulla sponda del Tevere, il corpo no. Un commissario la cerca, scopre le origini di un dramma che sembra nascere da banali tradimenti e invece è più profondo e antico, ha origine nei giorni bui dei collaborazionisti e dei partigiani, delle ausiliarie e delle brigate nere. L’indagine sulla scomparsa, il dramma della protagonista in lotta solitaria con la propria malattia mentale e gli eventi storici che la travolgono sono i tre piani narrativi in cui si svolge il romanzo, nel sottofondo costante di un fragile ambiente domestico, la famiglia che la donna ha costruito – il marito, i figli, una vita borghese nella capitale degli anni Sessanta – e quella d’origine – la provincia del nord Italia negli anni della seconda guerra mondiale.»
Ho scelto questo romanzo per caso. Ero in libreria, giravo tra i vari scaffali, l’ho visto, l’ho afferrato, l’ho acquistato. Si dice che le scelte in ambito di lettura non siano mai casuali, ma che riflettano anzi lo stato d’animo del lettore. Forse è così. Forse mi sono imbattuto nella storia di Clara perché ho visto tristezza nei suoi occhi; una tristezza universale, in cui mi sono riconosciuto. Ma quella di Clara non è solo tristezza. È strazio, dolore, rabbia, un grido muto e impotente, un artigliare feroce l’aria senza riuscire ad afferrarla. Perché Clara è vissuta nella Novara fascista, con un padre brigatista e una madre confusa; col ricordo di una sorella che non è riuscita a salvare dalle fiamme e una sorella che non è riuscita a salvare dal padre. C’è impotenza nella vita di Clara. Non riesce a impedire che il marito la tradisca, né che il sonno la vinca quando lei vorrebbe solo reagire. Un’esistenza di torture, fisiche e mentali, giornate scandite dal ticchettio dei macchinari degli ospedali e dalle luci al neon delle corsie. E poi c’è il Tevere, vero protagonista del romanzo. Clara ne sente il richiamo, sa che solamente tra le sue acque riuscirà a trovare la pace.
Non conoscevo Luciana Capretti, se non come giornalista. Ho scoperto così un’autrice carismatica, capace di confondere e sorprendere il lettore con poche, semplici parole. Lo stile all’inizio è spiazzante ma diventa poi familiare. Necessario. La punteggiatura assume regole nuove, si fa inquieta nel Nero (i capitoli dedicati all’infanzia fascista di Clara), malinconica nel Bianco (i capitoli dedicati alla vita adulta di Clara) e incalzante nel Giallo (i capitoli ambientati “al presente”).
Tevere è uno di quei romanzi che restano dentro, nel bene e nel male. Smuove qualcosa nel lettore, capace di destare sensazioni sopite e innestare ricordi nuovi e reali. Consigliato a chi cerca qualcosa di intrigante e appassionante. Qualcosa su cui riflettere.