Si cerca di essere ottimisti, di non pensare troppo al futuro, di vivere semplicemente il presente. Poi però, in alcuni momenti, le paure risorgono. Risorgono col calare della notte, quei pensieri che si scacciano per tutto il giorno e che si credono superati. Invano. Si torna a pensare al futuro, si fanno mille progetti, il tutto con una vena di pessimismo che non è possibile allontanare. Almeno non per me.
Ieri ho saputo che prima di poter tornare a casa dovranno passare cinque, sei anni. Perché casa era… è nel centro storico e il centro storico è da rifare totalmente. Casa è agibile, neanche una crepa, ma quelle attorno sono distrutte. A destra una facoltà universitaria traballante, davanti un palazzo lesionato, dietro un condominio crollato internamente. Bye bye agibilità. Un po’ come per tutti del resto.
Non riuscivo a crederci. Quando mamma mi ha dato la notizia le parole sono venute meno. A me che riesco sempre a trovare quelle giuste per ogni occasione. Ma cosa potevo dire? Come potevo rassicurare qualcuno se a me per primo è crollato il mondo addosso – letteralmente? Avevo già in mente di prendere un sentiero diverso, un percorso personale, ma con i miei tempi e a modo mio. E invece questo ha accelerato le cose, ridotto i tempi.
Sono sempre stato abituato a pianificare le cose importanti della mia vita. Non tutto, solo quelle importanti. E adesso sono spaventato, non so che cavolo fare. Sta accadendo tutto assieme, ogni cosa diventa reale. Ieri sera sono rimasto sveglio fino alle 5 del mattino. I miei genitori e mio fratello dormivano, io no. Sono rimasto in terrazzo a guardare il cielo.
Ripensavo alla mia L’Aquila. Al parco dove portavo Lucky, al bar in cui andavo con gli amici tra una lezione e l’altra, alle librerie che frequentavo, alle scorciatoie che prendevo per muovermi in centro evitando la ressa. Non ci sono più quelle scorciatoie. Sono sepolte dai detriti. Per anni, se non per sempre, non saluterò più i vicini di casa al mattino, prima di andare a lezione. Non lascerò Lucky giocare con i suoi amichetti al parco. Sono andati via tutti. Alcuni sono anche morti.
Forse qualcosa è morto anche dentro di me. Mio fratello dice che urlo nel sonno, che mi agito, come non succedeva da anni. Sono sempre stato un po’ sonnambulo, potrei raccontarvi cose ai limiti dell’assurdo, come quella volta che – dormendo – sono andato in camera di nonna e sono rimasto a fissarla con la sua televisione tra le mani. Da film dell’orrore.
Questa volta però è diverso. In me si è rotto qualcosa, in tutti gli abruzzesi si è rotto qualcosa. Molti reagiscono, molti lo ignorano, ma il dolore c’è. E’ là, basta allungare la mano per toccarlo. E’ viscido, sfuggente, vigliacco. Colpisce alle spalle non appena abbassi la guardia.
O quando tramonta il sole, col calare della notte.
caro luca, ti sono vicina.
se hai bisogno di una spinta morale per il futuro sai che ci sono, il tuo romanzo è un punto di partenza non da poco…aiutati che il ciel t’aiuta si dice…vai coraggio! e non sono frasi fatte, è vero 🙂
Lù ti capisco benissimo e condivido tutto quello che dici però devo farti un piccolo appunto.
Non parliamo più di terremoto d’Abruzzo o di tutti gli abruzzesi, questo è stato il terremoto de L’Aquila e non lo dico per campanilismo.
Siamo noi a non avere più una città, siamo noi che abbiamo subito i maggiori danni fisici e psicologici, riportiamo l’attenzione sulla città e non sull’intera regione.
Altrove la vita più o meno scorre sempre come al solito. yò \ò
Hai ragione. Hai perfettamente ragione. Altrove si sono allarmati per uno, forse due giorni, prima di tornare alla loro quotidianità. Noi invece l’abbiamo persa.
Che brutta notizia… vedrai che troverete un posto dove stare per questi sei anni, e poi lentamente tutto tornerà come prima. Almeno, te lo auguro di cuore.
Oggi ho comprato il tuo libro, passavo per dirtelo. Ciao!
Simone
Grazie per l’augurio Simone!
Poi dimmi che ne pensi del romanzo =)