Forse nemmeno lui ricorda più il suo vero nome, l’ha perso tanti anni fa insieme all’innocenza. Ora si fa chiamare Lucky the Fox, e il suo mestiere è assassinare su commissione. Un enorme dolore nel suo passato l’ha spinto su questa strada di disperazione, e uccidere è la sua sola missione. Ma in fondo al suo cuore è rimasto qualcosa del ragazzo che suonava divinamente il liuto e amava leggere Tommaso d’Aquino. E proprio il ricordo di quel che è stato e che avrebbe potuto essere manda in crisi Lucky the Fox, e lo spinge al suicidio. Ma proprio quando tutto sembra perduto, entra in scena Malachia, il suo angelo custode, che gli offre una seconda possibilità: viaggiare nel tempo e salvare un’esistenza perduta del passato…
Anne Rice è la mia scrittrice preferita, ho persino scritto la mia tesi di laurea su di lei. Eppure con questo romanzo è riuscita a deludermi. Della sua crisi esistenziale è stato scritto di tutto, così come del suo avvicinarsi e poi allontanarsi di nuovo dal cristianesimo. Un passaggio che comincia con gli ultimi romanzi de Le Cronache dei Vampiri e che si palesa nella sua trilogia su Gesù Cristo prima e con quest’ultimo romanzo poi. Ma. Sì, c’è un grande Ma che incombe sulla produzione della Regina.
Se ne Le Cronache dei Vampiri la religione aveva un suo perché ed era utile per l’approfondimento del personaggio di Lestat, qui è l’elemento portante. Un sicario con una crisi esistenziale, è questo il presupposto. Un sicario meticoloso e con un passato difficile alle spalle, capace ancora di scorgere il bello nel mondo che lo circonda, nonostante l’efferatezza delle sue azioni. La prima parte di Angel (Angel Time in originale), è la più potente e poetica, tanto da illudermi da avere tra le mani uno dei migliori romanzi di Anne Rice. Ma, per l’appunto, c’è un grande Ma, ovvero la seconda parte. La seconda parte segna l’arrivo dell’angelo Malachia, che cerca di spiegare al sicario il senso della vita, di trovare un perché per le sue azioni. E per farlo ricorre allo stratagemma del viaggio nel tempo, riportandolo nel passato. Da qui partono tutta una serie di vicende che definire noiose è dire poco. Ben scritte, ben studiate (si notano le ricerche svolte dall’autrice), ma noiose come poche cose al mondo. Manca quell’elemento che ha sempre contraddistinto i romanzi della Regina, vale a dire il ritmo. Si parla, si dicono cose, ma nessuna resta veramente impressa. Intervista col Vampiro era strutturato come un’intervista per l’appunto, un unico, lungo discorso. Qui il discorso non esiste, ci sono solo frammenti sconnessi che Anne Rice cerca di avvicinare con risultati a tratti imbarazzanti.
Per fortuna si tratta solo di una fase, come dimostrano i suoi nuovi romanzi, che segnano un ritorno al sovrannaturale puro e alle tematiche a lei più care. Eppure non posso fare a meno di sperare che la Longanesi si decida a pubblicare Vittorio the Vampire e a chiudere il ciclo dei vampiri.
Voto: 5/10
Devo esere sincero: questa saga sugli angeli non mi aveva convinto più di tanto fin da quando avevo letto su internet l’annuncio dell’uscita americana.
Poi, come ho già detto a te Luca, sono più che felice del ritorno di Anne al gotico-soprannaturale e spero che questo porti nuova linfa anche a vecchie consocenze (nel mio caso specifico il clan Mayfair 😉 )
Io invece non vedevo l’ora di leggere questo romanzo, forse per questo ci sono rimasto male (malissimo). Forse era meglio abbassarre le aspettative! Che dire, mi auguro anch’io un ritorno del clan Mayfair, una delle famiglie più affascinanti di New Orleans!
Secondo me è un bel libro me ne avevano parlato male ma qnd l’ho letto mi è piaciuto molto..