Recensione: Anne Rice. Tutti i Romanzi

Ve lo dico subito: non spaventatevi per la lunghezza di questo post. Il fatto è che ho deciso di raggruppare tutti i romanzi che ho recensito della Regina (Anne Rice), in caso qualche visitatore fosse indeciso se leggerla o meno. Sono considerazioni scritte anni fa, quindi abbiate pietà! Perché lo faccio? Sinceramente non lo so. Forse perché adoro questa donna, forse perché si mormora di un terzo film tratto dai suoi romanzi (“Il ladro di Corpi“) o forse perché vorrei sapere qual è il vostro parere (se osate dire qualcosa di negativo vi censuro! XD) Io la Rice comunque ve la consiglio sempre e comunque, ma per saperne di più, “leggete attentamente il foglietto illustrativo”!

Su “Intervista col vampiro” neppure mi soffermo. Anche se solo per sentito dire, credo che lo conosciate un po’ tutti. Parlerò invece degli altri romanzi de “Le Cronache dei Vampiri“.

scelti_tenebreUn’estate, entrando in libreria, rimasi affascinato da un titolo: “Intervista col Vampiro“. Avevo visto il film decine di volte, ne conoscevo a memoria ogni singola battuta, ma non sapevo che fosse tratto da un romanzo, per di più parte di una saga corposa e di successo. Conoscevo di fama Anne Rice, ma mai mi sarei aspettato che fosse lei l’autrice delle “Cronache dei Vampiri“. Acquistai così il romanzo, sorvolando sulla pessima copertina e sul pessimo aspetto che hanno un po’ tutti i figli della TEA.
Restai impressionato dalla scorrevolezza del libro, dalle differenze che aveva rispetto al film, di quanto l’analisi e il messaggio di Anne Rice fossero ben più profondi di quelli trasposti dal regista. Eppure il tutto aveva un senso di incompiutezza. Dalle piccole cose mi rendevo conto che la storia era più ingarbugliata di quanto sembrasse, ed è stato allora che ho amato Anne Rice. Io adoro i dialoghi brillanti e le tematiche inusuali, ma vado pazzo per le storie ad incastro, quelle che sono frutto di lunghe elucubrazioni, che non possono essere inserite in un singolo romanzo, bensì in 3, 4, 5 e via dicendo. E’ un po’ il mio processo creativo, anche se io sono Mr. Nessuno in confronto ad Anne Rice.
Comprando “Scelti dalle Tenebre” ho quindi vinto ogni pregiudizio nei riguardi del film (“La Regina dei Dannati“, che accorpa ben due romanzi della Rice) e, con la mente libera, mi sono abbandonato alla lettura. Solitamente un romanzo di 500 pagine lo divoro in 3, massimo 4 giorni, ma quella volta fu diverso. Proseguivo ad un ritmo di poche pagine al giorno, poche righe in alcuni casi. Perché? Semplicemente perché sentivo la stanchezza del protagonista Lestat, la stanchezza centenaria del suo essere vampiro; tutte le sue emozioni, dal dolore della perdita all’eccitazione per le più effimere creature del mondo, viste con gli occhi nuovi delle creature delle tenebre. Questo romanzo è poesia, filosofia, arte. Non si limita semplicemente a narrare le vicende di “Intervista col Vampiro” dal punto di vista di Lestat, ma ne costituisce prequel e sequel, distaccandosi al tempo stesso dalle tematiche del precedente libro e acquisendo un’identità propria. Non c’è un solo dettaglio lasciato al caso, non c’è una sola pagina messa lì come riempitivo, non c’è personaggio che non sia descritto perfettamente, che non sia funzionale alla narrazione o che tutt’al più lo sarà in seguito.
Tante le storyline che si intrecciano, tante le tematiche che vengono trattate. La mitologia di fondo è originale quanto basta a spiegare la nascita e l’esistenza stessa dei vampiri, sebbene non ce ne fosse bisogno. Quanti scrittori gotici o fantasy si limitano a mostrare senza indagarne le cause? Be’ Anne Rice non è tra questi. Dando una scorsa alle altre sue opere, non c’è un volume che abbia meno di 500 pagine (la saga delle “Streghe di Mayfair” inizia con un mattone di 1000 pagine), ma il lettore, quando viene catturato dalla magia della Rice, ne dimentica la mole e si lascia manipolare come un burattino.
E vive dunque la rivoluzione francese con gli occhi di Lestat, il suo stupore per la natura che gli è stata imposta, la sua ritrovata curiosità quando conosce Marius, la sfida che gli lancia sul finire, un disperato bisogno di tornare a sentirsi vivo o semplicemente una scelta dettata dalla noia? La Rice gioca con i personaggi così come gioca col lettore, infarcendo il romanzo di riferimenti all’epoca moderna, che strizzano l’occhio a produzioni gotiche anche più recenti.

Voto: 10/10

***

regina_dannatiDa 6000 anni Akasha e Enkil, sovrani dei dannati, dormono un sonno profondissimo, una sorte di ‘vita sospesa’ tra la vita e la morte. Qualcuno ha vegliato su di loro per tutti questi secoli, perché, se uno di loro dovesse morire, tutti i vampiri della terra scomparirebbero. Ma ora Lestat, il vampiro divenuto una famosa rockstar degli anni ’80, ha risvegliato la ‘regina dei dannati’, pronta a realizzare il suo sogno di dominio assoluto sugli uomini e sui vampiri al fianco di Lestat di cui è perdutamente innamorata. Solo le due gemelle vampire dai capelli di fuoco potranno salvare il mondo e sopraffare la potente e sanguinaria sovrana.”

Da molti è stato definito il libro più brutto di Anne Rice, la sua opera più frettolosa, con una trama banale e personaggi stereotipati come nelle peggiori fan-fiction. Io non la penso così. Penso che in questi tre romanzi delle “Cronache dei Vampiri” ci sia stato un crescendo: si è passati da una dimensione minuscola, quella del Louis di “Intervista col Vampiro” ad un mondo intero, “La Regina dei Dannati“, passando per il Lestat di “Scelti dalle Tenebre“, in cui vengono introdotte le origini della stirpe oscura. Il punto forte di questa saga è senza dubbio la coerenza interna, il fatto che niente è lasciato al caso, che ogni singolo evento e personaggio abbia una sua specifica funzione narrativa. Tra l’altro nella “Regina dei Dannati” fanno la loro comparsa vampiri antichi come Santino e Pandora, echi di secoli oscuri che hanno molto da dire. E infatti a loro Anne Rice ha iniziato a dedicare un nuovo ciclo, quello di cui per ora fa parte “Pandora“. Vado pazzo per queste trame intrecciate, per i colpi di genio che l’autrice dispensa con parsimonia, intrigando il lettore quanto basta per andare avanti nella storia, riacciuffandolo poi nei momenti di distrazione (che in questo romanzo poi, si contano sulle dita di una mano, per fortuna!). Insomma, meno divagazione sull’essenza della vita e più azione, ma questo non è un punto a sfavore, anzi! Anne Rice è estremamente prolissa, ma per fortuna ha uno stile che raramente annoia e che coinvolge il lettore per 500, ma anche 600 pagine. Quindi, ogni tanto, qualche “combattimento” ci sta proprio bene.
Passando alla storia, ne sono rimasto stupito. Avevo visto due volte il film che ne era stato tratto, accorgendomi di alcune scelte infelici degli sceneggiatori che non potevano essere state partorite da Anne Rice. E infatti il romanzo è completamente diverso, a partire dai reali intenti di Akasha, sino ad arrivare al modo in cui viene “uccisa”. E le due gemelle! Ho letteralmente divorato i tre capitoli che le riguardavano, i flashback sull’antico Egitto e sulle usanze dei piccoli villaggi limitrofi.
Consigliato, manco a dirlo, anche questo!

Voto: 8/10

***

ladro_corpiE’ la solitudine, la “maledizione” che si impadronisce di Lestat, il vampiro immortale, il principe incontrastato del tenebroso universo dei morti viventi. Lestat avverte dolorosamente la “maledizione” della sua solitudine e desidera rinascere come mortale, liberandosi quindi del suo corpo di “non-morto” e impadronendosi di un corpo “vivo”. Intraprende così un viaggio che lo porterà da Miami al deserto del Gobi, da Amsterdam alla giungla amazzonica, fino all’incontro cruciale con l’unico uomo che può soddisfare il suo desiderio, Raglan James, il Ladro di Corpi. Più sinistro e malvagio di un demone, il Ladro di Corpi si impadronisce con l’inganno del corpo vampiresco di Lestat, il quale, rinchiuso come anelava nel corpo mortale, scopre.”

Sorpresa. Stupore. Un romanzo partito in sordina e che si è subito imposto nella mia lista di libri “da leggere assolutamente”. Non ha nulla a che vedere con la precedente trilogia Akasha-centrica, qui si parla di avventura. Credevo che di Lestat la Rice avesse oramai detto tutto ed invece il suo personaggio continua a sorprendere.
Il capitolo finale in particolar modo è geniale. Ha messo in discussione tutto ciò che era stato detto in precedenza. In “Intervista col Vampiro” Louis ci dipinge un Lestat crudele e senza cuore. In “Scelti dalle Tenebre” Lestat stesso nega quanto detto dalla sua creatura, apparendo in maniera completamente diversa. Dimostra di avere un cuore, di poter soffrire. E in questo “Ladro di Corpi” nuovamente tutto viene a svanire. Il destino di Talbot è l’emblema del personaggio vampiresco della Rice, ne rappresenta la massima espressione. Lestat rivela la sua natura, la sua crudeltà e scherza con quanto detto in precedenza. Sicché il lettore alla fine si ritrova a pensare al primo romanzo della serie. E se Louis avesse ragione? E se fosse davvero Lestat ad aver ingannato l’ignaro spettatore?
Sublime lo stile della Rice, qui in tutto il suo splendore. Meno prolissa del solito, meno divagazioni filosofiche a tratti non-sense, meno stanchezza. L’autrice ha svecchiato un personaggio che col tempo era apparso sotto tono e mi ha lasciato con la voglia di saperne di più su di lui.

Voto: 7/10

***

diavoloNew York, inverno. Il vampiro Lestat è sulle tracce di Dora, la bella e carismatica figlia di un boss che lui ha ucciso. Combattuto tra l’istinto vampiresco e un forte slancio d’amore per la ragazza, Lestat si confronta con gli avversari più pericolosi che abbia mai conosciuto. Viene rapito dal misterioso Memnoch, che sostiene di essere il Diavolo, e che lo porterà fuori dal mondo per metterlo di fronte alla scelta più difficile.”

Anne Rice ancora una volta stupisce. Ammetto che “Il Ladro di Corpi” non mi aveva del tutto convinto. Sembrava che la vena creativa di questa scrittrice si fosse esaurita con la prima trilogia e che avesse poi continuato la saga tanto per, senza ben sapere dove andare a parare.
Non l’avessi mai pensato!
Questo romanzo parte in maniera “normale”, i classici discorsi moral-filosofici di Anne Rice… e poi accade di tutto. Appare il Diavolo, dice di volere Lestat come suo Principe, di aver bisogno del suo aiuto per portare avanti la sua missione e battere Dio. Insomma, “Memnoch il Diavolo” introduce una volta per tutte il mondo di Anne Rice, la sua concezione della creazione; e a dirla tutta, spiega anche molte delle cose che erano state lasciate in sospeso nei volumi precedenti.
Ecco quindi che Dio appare come un’entità alla ricerca delle proprie origini. Ha creato il mondo per osservarne l’evoluzione e risalire alla sua nascita. Uno solo tra gli angeli osò sfidarlo, Memnoch, il Diavolo, l’Accusatore. Egli ebbe il coraggio di pararsi davanti a Dio e chiedere la verità: prima la scimmia, poi l’uomo ed infine verranno gli angeli. Perché dunque non aiutare le anime dei defunti che non hanno accesso al paradiso? Perché non poter fare di Sheol (l’inferno) un luogo di espiazione e non di punizione? Stupendo il dialogo che segue:

“L’inferno è il luogo in cui raddrizzo i torti commessi da Dio. E’ il luogo in cui reintroduco una forma mentis che avrebbe potuto esistere se la sofferenza non l’avesse distrutta! E’ il luogo in cui insegno a uomini e donne che possono essere migliori di Lui. Ma l’inferno rappresenta il mio castigo, per aver osato discutere con Lui, per aver sostenuto che dovevo andare là ad aiutare le anime a compiere il loro ciclo come Lui lo ha concepito, per aver sostenuto che dovevo vivere là con loro! E che, se non li aiuto, se non li istruisco, potrebbero restare là per sempre! L’inferno però non è il mio campo di battaglia, la terra lo è. […] Faccio uscire uomini e donne da chiese e templi perché ballino, cantino, bevano, si abbraccino gli uni con le altre, con scostumatezza e amore. Faccio tutto il possibile per mettere a nudo la menzogna al centro delle sue religioni! […] Dio ha creato esseri più coscienti e amorevoli di lui.”

Poesia. Non esiste una parola più calzante per descrivere questo romanzo. Unica nota negativa il finale, il modo sbrigativo in cui vengono accolte le rivelazioni. Poche pagine in più avrebbero potuto fare la differenza e rendere questo “Memnoch il Diavolo” il mio libro preferito. Purtroppo però non è così. Forse il secondo miglior romanzo di Anne Rice (dopo “Scelti dalle Tenebre“), ma sono sicuro che possa fare di meglio!

Voto: 9/10

***

armandI vampiri di tutto il mondo si sono radunati intorno a Lestat, che giace immobile sul pavimento di una cattedrale. È morto? È in coma? Mentre il bellissimo vampiro Armand riflette sulla condizione di Lestat, viene avvicinato da David Talbot, il biografo dei vampiri, il quale lo esorta a narrargli la sua storia. Armand racconta la sua infanzia nel XV secolo a Kiev, il misterioso rapimento, la riduzione in schiavitù e la vendita a un artista veneziano, Marius, che in realtà è un vampiro. Ma, tra passioni incontrollabili, delitti e tradimenti, rivelerà anche qualcosa che i vampiri forse non sono ancora pronti ad ascoltare. “

Che dire? Era da tanto che non leggevo un romanzo di Anne Rice capace di catturarmi come ai tempi di “Scelti dalle Tenebre“. Gli altri libri del ciclo dei vampiri erano tutti interessanti, ma mancavano di quel sottile sostrato storico-filosofico-religioso che invece permea ogni singola pagina di questo “Armand il Vampiro“. Ogni riga è come il verso di una poesia, ogni capitolo fa luce sul passato di quello che a parer mio è il secondo miglior personaggio creato da Anne Rice (dopo Lestat). Il pretesto della narrazione è la spiegazione del perché Armand si è immolato ai raggi del sole, ma la storia aggiunge molto di più; paradossalmente vengono dette anche moltissime cose su Marius, un personaggio di cui si era letto sino allo sfinimento anche nel precedente – pallosissimo – “Pandora“. Il finale con Sybelle è un qualcosa di assolutamente geniale, perfidia-egoismo-passione-affetto un miscuglio di stati d’animo che non potrebbero mai coesistere coerentemente tra loro e che solo la Rice riesce ad amalgamare. Non dirò altro, ma vi lascio con un passaggio che è emblematico di questo romanzo:

“Sento la voce di Marius quando ripeto queste parole, le ultime che avrei sentito come bambino mortale:
-Questo è l’unico sole che vedrai mai. Ma avrai a disposizione un millennio di notti per vedere la luce come nessun mortale l’ha mai vista, per strappare alle stelle lontane, come se tu fossi Prometeo, un’eterna illuminazione grazie a cui comprendere tutte le cose.
E io, che avevo ammirato una ben più meravigliosa luce celestiale nel regno da cui ero stato scacciato, adesso desideravo soltanto che lui la spegnesse per sempre.”

Voto: 8/10

***

merrickChi potrebbe aiutare Louis de Point du Lac a ritrovare la sua amata e perduta Claudia, se non una strega? La bellissima Merrick discende dalle “gens de couleur libres”, una potente casta legata al voodoo nella quale si congiunge il sangue degli africani e dei francesi di New Orleans. Sue antenate sono le grandi streghe Mayfair, delle quali lei non sa nulla, pur avendone ereditato il potere e il sapere magico. Ed è David Talbot, eroe, narratore, avventuriero e vampiro a narrare la fascinosa e inquietante storia di Merrick, detta la strega di Endor, che spazia dalla New Orleans passata e presente alle giungle del Guatemala, dalle rovine dei Maya fino ad antiche civiltà ancora inesplorate. “

Con questo romanzo Anne Rice riesce a confondermi. Per la prima volta c’è un crossover tra le sue due più importanti saghe letterarie e lei perde l’occasione di creare qualcosa di unico. Si sofferma su Merrick, un personaggio a dir poco scialbo, inutile, tedioso, privo della verve di Rowan o Mona Mayfair. Il suo passato è più che noioso, i personaggi di contorno senza il minimo spessore. Il protagonista è senza dubbio David Talbot – narratore al tempo stesso – e forse è questo il più grande difetto del romanzo. Non sono mai riuscito a farmelo piacere, ho perso interesse in lui sul finire del “Ladro di Corpi“. Sarà che Anne Rice si diverte a giocare sui turbamenti interiori e sulle – presunte – contraddittorietà dell’animo umano, ma io avrei preferito Lestat come protagonista. Manca da troppo tempo e l’intero ciclo vampiresco ne risente. Si può dire che Anne Rice adori viziare il lettore, è capace di fondare un intero libro sul nulla, o meglio, sulle piccolezze. Difatti il “vizietto” di Merrick di tracannare rum su rum è palpabile, vivido. Sembrava davvero che ci fosse un liquore sul tavolo pronto per essere bevuto. Ma, come dicevo, il nulla. Niente di più. Unica nota positiva la conclusione, le ostilità aperte col Talamasca. Disperato tentativo dell’autrice di rinverdire il ciclo o preparazione alla conclusione? Speriamo la seconda.

Voto: 6/10

***

marius“Risvegliatosi da un sonno millenario, il vampiro Thorne è in cerca di una guida che lo reintroduca nel mondo attuale. Il fato lo porta a incontrare Marius, antico mentore di Lestat e amante di Pandora, il quale soddisfa la sua avida curiosità narrandogli la propria vita, un resoconto che diviene appassionata cronaca dei suoi amori, delle sue sofferenze e dei segreti finora mai svelati. La voce intima e profonda di Marius ci accompagna così attraverso i secoli, testimone diretta degli eventi cruciali della Storia. È tuttavia nel presente, nella giungla più intricata, che Marius andrà incontro al proprio destino reclamando giustizia per il vampiro più vecchio dell’universo.”

Se avessi letto questo romanzo subito dopo “Merrick“, probabilmente non sarei riuscito ad apprezzarlo. Non del tutto almeno. Sì, perché a differenza dei predecessori, “Il Vampiro Marius” è forse l’opera più profonda della Rice, più riassuntiva, ma anche più rivelatrice. Marius è uno dei personaggi che all’inizio avevo preso in antipatia, ma già dalla lettura di “Armand il Vampiro“, forse nell’averlo visto con gli occhi del giovane Armand, avevo iniziato a rivalutarlo.
Inutile dire che nel suo romanzo c’è stata una riscossa non indifferente. Si parte dal risveglio di Thorne (uno dei meri pretesti che la Rice ama tanto inserire nell’incipit dei suoi romanzi) e si arriva alle cronache della vita di Marius. Viene saltata del tutto la sua vita mortale e messo in risalto il suo risveglio come vampiro. Da lì si giunge al suo soggiorno in Antiochia, al suo incontro con l’amata Pandora, alla sua fuga verso Venezia, nella speranza di poter vivere una parvenza di vita mortale. E’ questo sogno infatti che muove le azioni di Marius e che io non avevo compreso nei precedenti romanzi. Lui è consapevole del suo essere mostro, della sua natura di abominio, ma non può fare a meno di amare e odiare la sua condizione. Un rapporto conflittuale che lo porta a cercare di vivere dapprima come mortale (a Venezia, circondato da fanciulli che vedono in lui un saggio mecenate) e ad autopunirsi per il suo essere vampiro custodendo Coloro-Che-Devono-Essere-Conservati, i genitori della oscura razza. Egli spera di espiare le sue colpe prostrandosi ai piedi di Akasha, ma non può fare a meno di sentirsi sollevato quando la Dea viene risvegliata, ai giorni nostri, da Lestat. Un fardello in meno sulle spalle o una speranza in più di potersi confondere tra i mortali?
Però, come dicevo, questo romanzo può risultare pesante. Io stesso lo avrei giudicato tale, se prima non avessi letto romanzi indecenti.

Unica nota di demerito: a differenza della versione originale, “Blood and Gold“, l’edizione italiana ha come titolo “Il Vampiro Marius“. E’ andato quindi perso il riferimento alle catene di sangue e oro che hanno tenuto imprigionato Lestat in “Memnoch il Diavolo“… peccato.

Voto: 7/10

***

blackwood“Benvenuti a Blackwood Farm: svettanti colonne bianche, saloni senza fine, giardini inondati di sole e l’oscura, densa striscia di una palude maledetta… È il mondo di Quinn Blackwood, eccentrico e affascinante giovane tormentato, sin dagli anni dell’infanzia, da un inquietante doppio, Goblin, uno spirito che solo lui può vedere, e che nasconde risvolti ben più inquietanti di un compagno di giochi immaginario. Finché una notte, mentre Quinn, ossessionato dalla storia di un vecchio antenato ritiratosi su una misteriosa isola al centro della palude, vaga fra quelle acque limacciose illuminate dalla pallida luce della luna, ha un incontro drammatico che porrà presto fine alla sua vita terrena, segnando l’inizio della sua esistenza come vampiro. E da quando, suo malgrado, riceve il Dono del Sangue, perdendo ogni cosa in cambio di un’indesiderata immortalità, Goblin assume su di lui un controllo terrificante… In una disperata corsa avanti e indietro nel tempo, dagli anni in cui era bambino al presente di New Orleans, dall’antica Atene alla Napoli del XIX secolo, Quinn si mette alla ricerca del vampiro Lestat, l’unico che, forse, potrebbe liberarlo dallo spettro che sembra volerlo risucchiare nella nera palude e nei suoi terribili segreti…”

Ogni romanzo di Anne Rice mi emoziona come se fosse il primo. Forse ha a che fare con il suo modo elegante di scrivere, forse con la sua tecnica narrativa… non so dirlo con certezza. “Il Vampiro di Blackwood” rappresenta senza dubbio una delle sue novelle più interessanti, dopo i controversi Merrick e Marius. Il lettore viene catapultato nella palpitante New Orleans di Lestat e vorrebbe restarci in eterno. Il frinire delle cicale, l’umidità, il sole cocente, i modi di fare bohemienne dei cittadini, combattuti tra la tradizione e l’innovazione, una lotta ben rappresentata tra queste pagine. Tutti – o quasi – i personaggi della Rice sono ricchi e possono permettersi ogni lusso, eppure amano faticare per sbarcare il lunario e sono felici della loro condizione immutabile. Come tutti i romanzi, anche questo inizia con un incontro e con un racconto. Anne usa i vampiri come semplice pretesto per raccontare storie, ed è questa la cosa che più amo di lei. Si parte da una novella gotica e si arriva ad un romanzo manierista, passando per il noir e il giallo. E’ l’intimità la vera protagonista delle “Cronache dei Vampiri“, non i vampiri. L’intimità di una famiglia o di una congrega, l’intimità della condizione umana o sovrannaturale. Blackwood Manor riunisce tutte le sfaccettature della quotidianità: il semplicismo dei contadini, l’ingenuità dei fanciulli, la malizia delle donne, la rudezza degli uomini. Niente viene lasciato indietro, niente viene trascurato. L’elemento occulto, in questo caso lo spirito Goblin, viene introdotto brillantemente, dapprima come entità pacifica, poi come malvagia. Segue Quinn sin dalla sua nascita; non sa da dove viene né quale sia il suo destino. Sa solo che il suo posto è accanto a Quinn. Lo segue nella sua crescita, impara a parlare grazie a lui e si ritaglia un ruolo nella grande famiglia. E quando Quinn diventa vampiro anche lui muta, diventa assetato di sangue.
Un lettore poco avvezzo alla Rice si aspetterebbe ora il classico romanzo horror con vampiri, streghe e fantasmi… peccato che non sia così. Sebbene presente sin dalle prime pagine, Goblin viene trattato come un semplice personaggio. Pagine su pagine scorrono velocemente raccontando la storia dei contadini di Blackwood, la storia dei proprietari del Blackwood Manor, con incesti, violenze e misteri. Le parti dedicate al sovrannaturale occupano rispettivamente il primo e il terzo segmento, un centinaio di pagine su seicento, una miseria! Lestat da cantore diventa ascoltatore, mentre la storia di Quinn si dipana dinanzi ai suoi occhi e prende forma, sostanza, un po’ come Goblin.
Da assiduo lettore di Anne Rice, sono rimasto colpito e sconcertato dai vari crossover con “Le Streghe Mayfair“, l’altra saga della Regina. Colpito nel sentire il nome di Rowan, Mona, Michael, Lasher!, sconcertato per la naturalezza con cui tutti i tasselli combacino. Non c’è nessuna discrepanza, nessuna forzatura. L’intreccio è assolutamente perfetto, come anche la prosa della Rice, qui barocca ed elegante come non mai. Le parti erotiche non mancano, ma non sono invasive come in passato, bensì funzionali alla storia, ora per descrivere l’animo intrepido di Quinn e Mona, ora per sottolineare l’ambiguità di Rebecca.
E la scena della chiesa è di una bellezza commovente: Lestat, Merrick e Quinn che ricevono il sacramento, il corpo di Cristo. Anne Rice supera la linea di confine, l’ateismo viene abbandonato definitivamente a favore della fede. D’ora in avanti le “Cronache dei Vampiri” riserveranno molte sorprese.

Voto: 8/10

C’è poi “Pandora“, che assieme a “Vittorio, the Vampire“, appartiene al ciclo de “Le Nuove Cronache dei Vampiri“.

pandora“E’ David Talbot, il vampiro-biografo, a insistere perché Pandora racconti la sua storia, una storia d’amore e di orrore cominciata oltre duemila anni prima. Figlia di un influente senatore romano dell’età augustea, Pandora, fanciulla coltissima e disinibita, a soli dieci anni fa innamorare perdutamente il biondo e misterioso Marius, la cui offerta di matrimonio viene però respinta dal padre. I due non si vedono più per molti anni, finché improvvisa giunge la catastrofe: accusati di congiurare contro l’imperatore Tiberio, il padre e i fratelli di Pandora sono trucidati. Fuggita ad Antiochia, Pandora cerca protezione nel Tempio di Iside, dove ritrova Marius, immutato nella bellezza e custode di un segreto spaventoso.”

Delusione. Un romanzo che la Rice poteva risparmiarsi. Cose già dette, cose che non si sapevano ma che potevano ugualmente essere taciute (cosa me ne frega a me se Lydia aveva uno schiavo con la gamba finta!). Interessante la parte iniziale, la descrizione che David fa di Pandora, della sua ossessione per i cuori delle vittime, ma per il resto… il nulla!
La cosa che mi spaventa è che ci sono anche romanzi su Marius e Armand… temo che siano ugualmente prolissi ed inutili. E’ un dato di fatto, Anne Rice andando avanti ha dimenticato come costruire un bel romanzo.

Voto: 5/10

Ma parliamo ora della trilogia delle “Streghe Mayfair“. Sono tre bellissimi romanzi, ma vi consiglio, anche solo per provare, il primo. Un capolavoro.

stregheA New Orleans, sotto il portico di una vecchia casa, ogni giorno una donna siede immobile su una sedia a dondolo, lo sguardo spento. Un misterioso giovane è il solo visitatore, ma svanisce nel nulla se qualcuno cerca di avvicinarlo. A San Francisco, Michael Curry, annegato nell’oceano, ritorna inspiegabilmente alla vita. Che cosa lega la donna di New Orleans alla ragazza, geniale neurochirurgo, che ha ripescato Michael Curry dalle acque?”

Un bel malloppone, è questa la prima cosa che ho pensato quando ho preso tra le mani il romanzo. Conoscendo Anne Rice – e quanto può essere prolissa se vuole – sapevo già che poteva trattarsi del suo capolavoro o della sua opera peggiore. Le recensioni della quarta di copertina erano come al solito straripanti di elogi, ma ho imparato a non fidarmi.
Così mi sono buttato e l’ho comprato.
Sorvolando sulla – come sempre – pessima versione della TEA, ho letto le prime cento pagine in pochi minuti. Ebbene sì, lo stile di Anne Rice è come quello della “Regina dei Dannati“, prima del “Ladro di Corpi” e dell’amato/odiato “Mnemoch il Diavolo“. Quindi si parla di una prosa scorrevole e barocca, descrizioni mai pesanti ma funzionali alla narrazione, scene erotiche ad un passo dal volgare ma che vengono abilmente gestite divenendo “irresistibili”. Si nota il lavoro certosino dell’autrice nello strutturare e organizzare la genealogia della Famiglia Mayfair, una famiglia fatta di incesti, omicidi, suicidi e chi più ne ha più ne metta. All’inizio la mole di personaggi sembra impossibile da gestire, ma andando avanti il lettore riesce ad imprimersi nella mente i nomi dei protagonisti e dei comprimari. Le tematiche trattate possono sembrare meno interessanti rispetto alle “cronache dei vampiri“, forse perché nelle Cronache si nota proprio un percorso spirituale dell’autrice, che culminerà poi con il ritorno al cristianesimo (nella vita reale e in “Mnemoch il diavolo“). Qui invece è puro horror, anzi, puro romanzo gotico. Presenze inquietanti, scene raccapriccianti, il tutto condito dalla vena erotica che solamente una come la Rice riesce a gestire con classe.
Non dico altro per evitarvi la sorpresa, ma si capiranno molte cose del Talamasca e di alcuni personaggi che vengono citati negli altri romanzi. Necessaria quindi la lettura per mettere in ordine i vari tasselli disseminati nelle decine di libri della Rice!

Voto: 9/10

Se siete arrivati alla conclusione di questo post, non mi resta che farvi i complimenti! E augurarvi buona lettura se avete deciso di “convertirmi” alla dottrina della Regina.

PS: Se dovesse avanzarvi una copia di “Un grido fino al cielo” (romanzo della Rice praticamente esaurito), io sono disponibile!


15 Comments

  1. Io ho letto per ora Intervista col vampiro e La regina dei dannati.
    Ora però ho in coda Scelti dalle tenebre, che a quanto ho capito ti è vagamente piaciuto… 😀

  2. Io ho letto i primi tre libri della Rice e mi piacciono molto 😛 Comunque sai che devono fare un remake di Intervista con il vampiro? ^^

    X-Bye

  3. @tanabrus: mi è piaciuto giusto un po’, eh! XD

    @imp.bianco: un remake?! Visitando il profilo facebook della Regina sapevo solo di un possibile film tratto da “Il ladro di corpi”! Be’, se riescono a creare una serie decente dai romanzi della Harris, con quelli della Rice faranno faville!

    @Francesco: già, la Rice si dilunga spesso su accadimenti poco importanti; nei romanzi davvero belli però si nota appena. In Pandora, ad esempio, è più che evidente!

    @Okamis: più che inutile! Anche perché la parte dedicata alla sua vita mortale è brevissima; il resto del romanzo è incentrato sul suo rapporto con Marius, già descritto ne “Il vampiro Marius”.

    Detto questo, chissà quando uscirà l’ultimo romanzo delle “Cronache dei Vampiri”, “Blood Canticle” e l’ultimo delle “Nuove Cronache dei Vampiri”, “Vittorio the Vampire”. Longanesi muoviti!

  4. Sì! Qualcun altro che ha trovato Pandora noioso. E io che temevo di trovarla noiosa solo per troppo amore verso Marius e Armand.
    Torno sul tuo blog a causa di aNobii, non me ne volere =D

  5. Ma no che non te ne voglio! =D

    Ho riletto Pandora in questi giorni, per la tesi, e confermo la mia opinione. La scrittura stessa della Rice sembra svogliata!

  6. Tutto Pandora è svogliato. E’ un’inno alla svogliatezza.
    Be’, considerando che lo stesso Marius la cerca per secoli e poi quando la vede si gira gridando “ARMAND!” non potevamo aspettarci molto. E’ un donna-zerbino.
    Avrei preferito che la Rice scrivesse su Gabrielle, ma tutto sommato preferisco la lascii in pace. Sono anche felice che non paia avere intenzioni di scrivere ancora su Lestat e gli altri. Dopo che se n’era uscita fuori con l’idea di rimaneggiare le Cronache dopo la sua conversione al cattolicesimo, ne avrei avuto paura.Già Memnoch il diavolo stonava, e Marius il Vampiro mi ha un po’ deluso.

    Perdonami la domanda, su cos’è la tesi per portari a rileggere Pandora? “La decadenza di un artista”?

  7. La tesi è su Anne Rice, sulla sua conversione religiosa. E’ un’analisi dei testi per così dire.
    Conta però che ad eccezione di Pandora e Merrick, gli altri romanzi della Rice sono più che convincenti. Ne La Regina dei Dannati illustra la genesi dei vampiri, con Amel e la Regina Akasha; in Memnoch, quando parla di Dio e di Lucifero, non c’è nessun conflitto.
    Avrebbe potuto tranquillamente fregarsene delle incongruenze e invece no, ha spiegato ogni cosa. E non a caso Memnoch è il romanzo più venduto in assoluto della Rice. =)
    La ricerca della fede comunque era già presente nei primi volumi, solo in modo più velato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.