Ho scoperto Stephen King poco più di due anni fa, quando mi hanno consigliato di leggere i suoi romanzi. Come molti avevo visto gli adattamenti televisivi e cinematografici e come molti sono rimasto traumatizzato da IT, ma delle controparti cartacee sapevo poco e niente.
L’obiettivo finale, per quanto mi riguarda, era quello di leggere la saga de La Torre Nera, opera in sette volumi (più un prequel), ma per farlo avevo prima bisogno di recuperare gli altri romanzi del sig. King. Perché? Perché questo autore (anche se la parola “autore” è riduttiva) ha ben pensato di creare connessioni in quasi tutti i suoi romanzi; sia ben chiaro, La Torre Nera può essere letta anche senza aver sfogliato altre opere (e viceversa), ma così facendo si perdono tutti i richiami e i rimandi al mega-universo che è stato creato.
Ecco quindi che i can-toi (creature ibride ne La Torre Nera) sono citati in Desperation, la Tartaruga appare in IT (insieme a speculazioni varie sulla natura del Clown che rimanda al terribile Re Rosso), così come Carrie potrebbe essere considerata una Frangitrice (uomini e donne impegnati a far cadere la Torre) e via dicendo.
In confronto al Sig. King io sono una puzzetta nell’universo, questo è bene dirlo. Però non posso non dare un parere da autore:
«L’uomo in nero fuggì nel deserto e il pistolero lo seguì».
Da scrittore credo che sia uno degli incipit più belli mai scritti. È chiaro, fulmineo, evocativo, ritmato. Da lettore però l’ho trovato confuso, disorientante, privo di informazioni utili per comprendere chi sia l’uomo in nero ma soprattutto il pistolero.
E pensate che prima di sapere la storia di quest’ultimo si dovrà attendere il quarto volume, quasi interamente un flashback sulla sua giovinezza. Fino ad allora, nei primi tre romanzi, c’è tutto un rimando a situazioni che il lettore non conosce ma soprattutto a personaggi (vivi? Morti?) privi di caratterizzazione. Solamente ad una seconda lettura si potranno cogliere tutte le connessioni dei primi volumi ma è, francamente, un esperimento che possono permettersi ben pochi scrittori.
Perché è proprio questo il punto. Stephen King ha potuto scrivere questa storia grazie alla sua fama e non è un caso se il successo della serie sia arrivato più avanti, quasi a dire “poco importa vendere poco, l’importante è raccontare la storia che ho in mente”. E se da un lato uno scrittore può storcere il naso (Chi può permettersi di fare ciò che vuole con editor vari pronti a sforbiciare?) il lettore esulta: sì, perché mr. King sta raccontando la sua storia a modo suo, senza costrizioni, senza pressioni e la storia è a dir poco entusiasmante nella sua semplicità.
Fantasy. Storico. Fantascienza. Epico. I generi sono un miliardo e si intrecciano tra di loro in maniera armonica.
Quando ho scritto il mio primo romanzo, un editor mi ha detto una cosa molto importante: i romanzi che valgono possono essere riassunti in un paio di frasi, senza troppi giri di parole. E, se ci riflettiamo, è questo in effetti il segreto: la semplicità.
La Torre Nera rispetta questa regola e, evitando spoiler, la storia può riassumersi in: Roland, il pistolero, vuole salvare la Torre Nera su cui ruotano tutti gli universi (e i romanzi di Stephen King) e per farlo forma un ka-tet (una sorta di compagnia dell’anello) composto da Eddie (un ex tossico), Susannah (una donna disabile, su sedia a rotelle, afflitta da personalità multiple), Jake (un bambino morto un paio di volte) e Oy (un bimbolo fedele – una sorta di cane). Sì, avete letto bene: un ex tossico, una donna menomata, un bambino con un paio di decessi alle spalle e un animale vagamente simile a un cane.
Eppure Stephen King riesce a far stare in piedi il tutto (scusate il gioco di parole), riesce a emozionare, riesce a stupire, riesce persino a far chiudere un occhio quando molte delle vicende introdotte non vengono concluse o oggetti ritrovati non vengono più nominati.
Voglio dire, se vi dicessi che sto scrivendo la storia di un treno malvagio, dotato di intelligenza artificiale, che può essere sconfitto solamente a suon di indovinelli, voi mi prendereste per pazzo, giusto? Mi direste che è una storia surreale, che fatica a reggersi in piedi. Eppure mr. King dedica a un treno folle, chiamato Blaine, un romanzo e mezzo e tutto si può dire meno che sia surreale; al contrario, si potrebbero scrivere milioni di saggi sulle metafore nascoste e sui messaggi celati tra le righe.
L’unico problema, e lo dico da lettore, si incontra quando Stephen King diventa a sua volta un personaggio della storia (di nuovo sì, avete letto bene), una sorta di damigella in pericolo da salvare per evitare che la Torre crolli. Questo avviene avanti nella storia e da lì in poi il tutto, alle volte, sembra una specie di autocelebrazione francamente inutile, della quale avrei fatto volentieri a meno. E lo dico anche da scrittore, dal momento che le parti più “noiose” sono state proprio quelle legate a mr. King personaggio.
Ma è un difetto perdonabile considerata la portata della storia. E dire che tutto è nato dal poema Childe Roland alla Torre Nera Giunse, di Robert Browning, una delle letture giovanili di Stephen King, che vi consiglio di leggere (è abbastanza breve) prima di immergervi nella sua saga.
E se poi volete gustarvi la Torre Nera nella sua interezza, recuperate tutti i romanzi singoli che sono collegati, in particolar modo Le notti di Salem, IT, Insomnia, Desperation, L’Ombra dello Scorpione e Shining.
Piccola nota finale: per quanto riguarda Shining, ho da segnalare le diverse traduzioni che vengono fatte della “luccicanza”. Per intenderci, ne La Torre Nera, viene chiamato “tocco”. E sì, parliamo della stessa cosa.
Libro bellissimo !!